Nicola Negri

Messi nella Storia. Superato il record di gol in un anno di Gerd Müller

Con 86 reti la ”Pulce” argentina ha già ritoccato un primato che resisteva da quarant’anni

Dopo il grande spavento di mercoledì scorso, Lionel Messi ce l’ha fatta. Per battere uno degli ultimi record che non aveva ancora infranto, quello dei gol segnati lungo l’arco di un anno solare, la “Pulce” si è ripresa in tempo abbondantemente utile. Difficile un confronto con il portatore del già monstre record precedente, l’implacabile bomber tedesco degli anni ’60 e ’70 Gerd Müller, che nel 1972 si “fermò” a quota 85 reti; difficile ma ci provo.
Messi è due anni più giovane dell’anno in cui Müller stabilì il record; quello di quest’ultimo era tutto un altro calcio, più lento ma che lasciava anche più spazio alla tecnica; ma soprattutto, se i gol di entrambi sono “utili”, quelli di Messi sono senza dubbio più belli da vedere. Si tratta comunque di due assoluti campioni del gol, il tedesco più legato alla finalizzazione, l’argentino più “totale”.
Altre due cose sul fenomeno del Barcellona, su cui si è già detto e scritto di tutto e di più. La prima è una considerazione: con almeno altri 7-8 anni di carriera davanti, continuando a star bene fisicamente e senza perdere quella gioia infantile che gli deriva tirando calci ad un pallone, Messi può veramente riscrivere la storia di questo sport. La seconda è una domanda: può veramente già essere considerato tra i più grandi, se non il più grande, di ogni epoca? Scontato ma doveroso dire che gli manca ancora un trionfo da protagonista con la maglia della sua Nazionale; per rispondere alla questione, io sono del partito “De Stefano più Pelé più Maradona”, ognuno con le sue caratteristiche e in relazione alla propria epoca calcistica; penso anche che ben presto Messi sarà degno di unirsi alla compagnia, se non lo è già.

Goal fantasma. Lo storico debutto della tecnologia nel calcio

Durante il Mondiale per club in Giappone verranno alternati il ”goalref” e l”’hawk-eye”

E’ un giorno storico per il gioco del calcio. Alle 11.45 ora italiana, in occasione dell’incontro valido per i playoff del Mondiale per Club disputato a Yokohama tra Hiroshima e Auckland (per la cronaca finita 1 a 0 per i nipponici), ha infatti debuttato il “goalref“, uno dei due sistemi approvati dal board della FIFA per fornire un aiuto tecnologico al direttore di gara; attenzione però: a sua discrezione ed esclusivamente in caso di ‘gol fantasma’.
Il sistema, di origine tedesco-danese, è un sistema misto di pallone ‘intelligente’ e campi magnetici collegati ad un computer per definire la posizione della palla comunicandola all’orologio dell’arbitro. Vista la sua collocazione nell’impianto di Yokohama, sarà deputato a vigilare, se si presenterà l’occasione, nei dintorni delle linee di porta della finalissima in programma il prossimo 16 dicembre.
L’altro è l'”hawk-eye” (l'”occhio di falco” usato anche nel biliardo, nel cricket e nel tennis), un sistema di proiezioni grafiche attraverso sette telecamere, per dare al direttore di gara, al quale viene ancora una volta comunicata tramite il suo orologio, l’esatta proiezione della palla. Questa seconda tecnologia sarà invece installata al “Toyota”, l’altro stadio sede della competizione.
Il protocollo della Federazione internazionale del calcio autorizza un margine di errore di 2 cm sulle palle a terra e 3 su quelle a mezz’ora. Il responsabile dell'”occhio di falco” ha garantito una tolleranza di appena 0.6 cm. I costi sono elevati: 52mila euro all’anno di diritti e manutenzione, circa 360mila euro di installazione, più un non ben specificato 5% di tassa FIFA.
Non solo il Mondiale, ma anche tutto il mondo del calcio, è in fremente attesa dei primi riscontri.

Coppa del Mondo di Sci. Beaver Creek fa sperare in una nuova ”valanga azzurra”

Nel weekend americano i trionfi di Innerhofer e Marsaglia e il terzo posto di Simoncelli

E’ ancora presto per dire se si tratta di una nuova “valanga azzurra”, ma i presupposti ci sono tutti. I trionfi di Christof Innerhofer in discesa e Matteo Marsaglia in superG sulla pista tradizionalmente non amica di Beaver Creek non sono solo figli del talento dei due (riconosciuto nel caso dell’altoatesino, sorprendente ma non troppo in quello del romano), ma anche di una programmazione mirata, che ha portato la nostra federazione a stringere un accordo con quella statunitense per consentire agli atleti italiani di allenarsi nell’ultimo mese a Copper Mountain, non lontano da Beaver Creek, dove i nostri hanno avuto la possibilità, sino a quest’anno negata, di prendere confidenza con le altissime velocità richieste dal budello di neve del Colorado.
A completare un weekend difficile da dimenticare, il terzo posto di Davide Simonelli in gigante, a cinque mesi dall’incidente in cui rischiò la vita.
Se “Inner” sta bene è una garanzia, abbiamo scoperto Marsaglia, stiamo recuperando Fill e Hell, giovani come Klotz e Paris sono pronti ad esplodere. Se poi ci mettiamo vicino che la squadra sulla carta più forte dovrebbe essere quella tecnica dei gigantisti e degli slalomisti e che le piste su cui siamo tradizionalmente più forti (quelle europee) devono ancora arrivare…
La morale della favola è che la “valanga azzurra” è pronta a rotolare sulle nevi di Schladming dove, se sarà freddo, a febbraio si terrà un Mondiale potenzialmente perfetto per le qualità dei nostri atleti.

Calcio. Italia-Brasile 3-2. Le dichiarazioni deliranti di Zico

Puntuale è arrivata la replica di Paolo Rossi, eroe della sfida del Sarrià

“Se avessimo vinto quella partita il calcio probabilmente sarebbe stato differente. Dopo di allora, invece, cominciammo a mettere le basi per un calcio nel quale bisogna conseguire il risultato a qualsiasi costo, un calcio fondato sulla distruzione del gioco avversario e sul fallo sistematico. Quella sconfitta non fu positiva per il mondo del calcio. Se quel giorno avessimo segnato cinque reti, l’Italia ne avrebbe segnate sei, perché trovavano sempre il modo di capitalizzare i nostri errori”. Chi parla è Arthur Antunes Coimbra, in arte Zico, e la partita a cui fa riferimento è stata giocata il 5 luglio 1982 allo stadio Sarrià di Barcellona nell’ambito del Campionato mondiale di calcio: Italia-Brasile 3-2.
Saranno le fresche dimissioni da Commissario Tecnico della Nazionale iraqena, sarà che il ricordo di quella storica sconfitta brucia ancora o l’età che avanza, oppure tutte queste cose messe insieme: fatto sta che quello che è stato uno dei più grandi numeri 10 della storia del calcio brasiliano e non solo, stavolta a mio parere l’ha proprio sparata grossa.
Gli Azzurri non solo diedero ai supponenti verdeoro una lezione tattica, ma erano anche loro superiori almeno in tre dei quattro ruoli che formano la cosiddetta “spina dorsale” di una squadra: Valdir Peres non si può neanche lontanamente paragonare al nostro Dino Zoff, come i vari Leandro e Luizinho a Claudio Gentile (o Gaetano Scirea se vogliamo considerare il libero), per non parlare dell’impalpabile (e inguardabile) Serginho messo a confronto con Paolo Rossi. Dopo averli battuti, ne accogliemmo la gran parte: Falcao, Socrates, Junior, lo stesso Zico.
Nella mia analisi ripeterei ciò che è stato espresso alla perfezione da chi li purgò ormai più di trent’anni fa, il Pablito nazionale: “Quel 3-2 fu una lezione per la quale il Brasile ci dovrebbe ringraziare e darmi un premio. Una sconfitta dalla quale impararono molto, soprattutto a giocare più coperti. Tanto è vero che poi hanno vinto altre due edizioni del Mondiale. Zico naturalmente si lancia in un paradosso e non penso che a quella vittoria si possa attribuire un peso così grande. È vero, invece, che da allora il loro approccio è cambiato, è diventato più guardingo, si sono europeizzati. Anche perché tanti brasiliani hanno conosciuto i campionati del nostro continente. Eppure vederli giocare è sempre uno spettacolo. Pur evolvendosi, il loro calcio è rimasto lo specchio di un paese dove lo spettacolo resta importante”.

Calcio. Serie A. La Juventus riapre il campionato ma ad approfittarne è solo il Napoli

Bella dimostrazione di compattezza e forza anche da parte della Fiorentina. Male l’Inter

Con la prima sconfitta in trasferta dell’era-Conte, la più brutta Juventus da quando sulla panchina dei bianconeri siede il tecnico leccese, il campionato è riaperto (anche se non lo ritenevo chiuso ad un terzo del cammino). Si avvicina, e serve come il pane, il ritorno in panchina del tecnico campione d’Italia. In campo, considerato che i ricambi all’altezza ci sono, sarebbe consigliabile un turnover più sullo stile-Lippi che su quello Mourinho. Va dato atto alla società torinese di non aver alzato i toni della polemica arbitrale quando la tentazione era forte.
L’unica ad approfittare concretamente della frenata (quattro punti in quattro partite) della capolista è il Napoli di Mazzarri, che va a vincere sul difficile campo di Is Arenas sapendo soffrire da grande squadra, con quel pizzico di fortuna che aiuta gli audaci che non rinunciano ad attaccare pur avendo fuori due dei tre tenori (Pandev ma soprattutto Cavani).
Bella dimostrazione di compattezza e forza anche da parte della Fiorentina che, pur non riuscendo a vincere contro il Torino, non sembra saper più perdere e sviluppa uno dei migliori, se non il migliore, calcio del campionato, anche senza i suoi interpreti più importanti. Se due indizi (Catania e il primo scorcio di questa stagione) fanno una prova, Vincenzo Montella infiammerà il prossimo mercato degli allenatori.
La frenata dell’Inter si va trasformando sempre più in una franata. Dopo la profanazione dello Juventus Stadium, infatti, è arrivato un solo punto in tre partite. Senza Cassano non esiste un collegamento tra centrocampo e attacco: l’assenza di Sneijder inizia così a farsi sentire per davvero, considerato che Coutinho è scomparso dai radar e Alvarez è inutile nella sua lentezza. Se vincere aiutava a vincere, se tanto mi dà tanto, perdendo vale lo stesso discorso al contrario. Urge ritrovare lo spirito dell’impresa torinese, che sembra essere stata accolta più come un punto d’arrivo che di partenza come sarebbe dovuto essere.

Intervista al giornalista bolognese Roberto Beccantini

Cronaca dell’incontro milanese con una delle più grandi firme sportive italiane

Per quei pochi che non lo conoscono, chi è Roberto Beccantini? Giornalista sportivo, professionista dal 1972, ha iniziato la sua carriera a “Tuttosport” per proseguirla tra “La Gazzetta dello Sport”, il “Guerin Sportivo” (a cui collabora dal 1999) e “La Stampa”, per cui ha lavorato sino al 2010, ricoprendo diversi incarichi tra cui capo della redazione sportiva. In pensione dal 31 agosto di due anni fa, attualmente Beccantini collabora con “Il Fatto Quotidiano”, il “Guerin Sportivo” e “La Gazzetta dello Sport”, oltre a tenere un blog su “Eurosport Italia”. Volto televisivo di varie trasmissioni RAI e MEDIASET, Beck si è aggiudicato nel 2010 il Premio CONI “Una Penna per lo Sport-Giorgio Tosatti”, riconoscimento all’opera svolta dal giornalista nel corso della sua quarantennale carriera.
Signor Beccantini, mi permetta di dirle che la leggo da tanti anni e quindi per me incontrarla qui a Milano, oltre che un piacere, è anche un onore. Veniamo a noi: lei è stato tra i primi critici del sistema calcio in occasione di “Calciopoli” e autore di “Juve ti amo lo stesso” (Mondadori, 2007) e “Quei derby che una Signora non dimentica” (Priuli & Verlucca, 2007). L’attualità parla di una Juventus vincente. A suo parere serve veramente il tanto citato “top player”? E, nel caso, chi?
Potrei essere smentito ma Llorente non mi sembra poter spostare gli equilibri. Dzeko non so. Dico Cavani: con l’uruguaiano la qualità migliorerebbe ma l’attacco non perderebbe in mobilità, essendo una prima punta che ama svariare. Mi sembra un Trezeguet mobile, un Trezeguet “Distefanizzato”. I vari Suarez, Van Persie ecc. sono fuoriclasse, non campioni.
Prima la Lazio, poi il Napoli. A seguire l’Inter, ora va di moda la Fiorentina: chi può essere la vera anti-Juventus?
Nella mia consueta griglia di inizio campionato avevo posizionato il Napoli davanti all’Inter. La Fiorentina può essere la squadra rivelazione.
Lei è stato per tanti anni il giurato italiano del “Pallone d’oro”. La sua personale classifica di quest’anno? E le sembra giusto che negli ultimi anni sia stato premiato il più forte in assoluto e non il migliore dell’anno solare?
Voterei C. Ronaldo-Messi-Iniesta-Pirlo-Xavi. La fusione tra “Pallone d’oro” e “Fifa World Player” ha accentuato il fatto che tenda a vincere il più forte calciatore del pianeta (considerato quasi unanimemente Messi). I giurati sono diventati talmente tanti che i paletti non sono più fissi come quando il Premio era organizzato da “France Football”. Con Messi comunque si va sul sicuro.
Com’è cambiato il rapporto giornalisti-calciatori?
All’epoca di Sivori, ma anche di Platini, i calciatori sceglievano da quale giornalista farsi intervistare: il contatto era diretto; oggi invece si deve passare attraverso una serie di filtri, e spesso si tratta di interviste “sdraiate”. Lasciami dire che la logica commerciale è ormai imperante: vedi certi protagonisti della trasmissione di SKY “I Signori del Calcio”, che più che “Signori” potrebbero essere definiti “Gladiatori”.
Lei ha seguito nove Olimpiadi estive e quella invernale di Torino 2006; nove Mondiali e otto Europei di calcio; tutte le finali di Champions League dal 1992 al 2010. Quale l’Olimpiade che ricorda con maggiore piacere? E lo stadio di calcio da cui è rimasto maggiormente impressionato?
Tra le Olimpiadi, Barcellona 1992. Lì c’era il “Dream Team”, quello originale (Beccantini è anche un grande appassionato di basket, ndr). Essendo responsabile della redazione sportiva de “La Stampa”, mi sono perso un edizione a cui mi sarebbe piaciuto assistere dal vivo, Sidney 2000. Per quanto riguarda gli stadi, il “Santiago Bernabeu” di Madrid su tutti.
Dopo i due libri sulla Juve, ne ha in programma altri?
Per ora no: nonostante sia ufficialmente in pensione, scrivo ancora quotidianamente. Per la Juve mi erano arrivate delle proposte legate alla contingenza del momento (“Calciopoli”, ndr), ma per scrivere dei libri serve pazienza. Io sono un cento metrista, chi scrive libri è un maratoneta.
E dalla sua ultima affermazione è saltata fuori anche la sua passione per l’atletica… Un’ultima domanda: oggi consiglierebbe ad un ragazzo di fare il giornalista? E quali sono stati i suoi modelli?
Gianni Mura, nella sua analisi sul numero di dicembre del “Guerin Sportivo”, è stato più pessimista di quello che penso. Nonostante tutto lo consiglio ancora. Se io sognavo ad occhi chiusi, un giovane oggi lo deve fare ad occhi aperti perché i tempi sono indubbiamente cambiati, e sono difficili, in modo particolare per i giovani. A neanche vent’anni, il 20 agosto 1970, mi trasferii da Bologna a Torino per lavorare a “Tuttosport”; avevo già un impiego fisso, nonostante dovetti abbandonare l’Università dopo aver affrontato otto esami di “Scienze politiche”, e oggi un pò lo rimpiango, ma andavo a fare quello che mi sarebbe piaciuto fare nella mia vita. Oggi anche se si è non laureati, ma bi-laureati, si è costretti a guardarsi intorno; mi sento quindi di dire che lo consiglierei con maggior decisione al figlio di un papà ricco. Molti di questi giovani che magari hanno una doppia laurea non riescono a fare il lavoro che sarebbe loro piaciuto fare. Certo, dipende anche come ci si comporta una volta entrati nel circuito. Il fascino del giornalismo rimane enorme, però… Il paradosso è che la crisi c’è adesso che ci sono molteplici possibilità di accesso alla scrittura. Ai tempi dei miei esordi, l’unico supporto era quello cartaceo. Venendo alla seconda parte della domanda, considero importantissimi per la mia formazione Gianfranco Civolani e Gianni Brera. Stimo molto inoltre Emanuela Audisio, Maurizio Crosetti, Gianni Mura e Giuseppe Pistilli, oltre al mio direttore Matteo Marani al “Guerin Sportivo”: ho molto apprezzato il suo “Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo”.

Coppa Davis. Repubblica Ceca. Uno storico trionfo firmato Radek Stepanek

Nell’anno d’oro del tennis ceco, il terribile 34enne ha siglato il punto decisivo nel giorno del ritiro (?)

E’ un anno storico per il tennis ceco, che al massimo potrà essere uguagliato. Per la prima volta, infatti, la stessa Nazionale si porta a casa la massima competizione femminile (la Federation Cup) e maschile a squadre (la Coppa Davis). Casa dolce casa, se è vero, record nel record, che i trionfi sono stati ottenuti nella stessa città (la capitale, Praga) e impianto (la “O2 Arena”). Mentre le donne boeme sono delle habitué (7 vittorie nella competizione, 2 come Repubblica Ceca), non altrettanto si può dire degli uomini (2 trionfi, questo è il primo dall’indipendenza del 1993).
Se le “quattro moschettiere” avevano avuto ragione della forte Serbia, i quattro eroi di Praga hanno sconfitta una Spagna fortissima pur senza il suo leader Rafael Nadal. La firma sulla 100esima edizione dell'”Insalatiera” più agognata è del numero 31 della classifica ATP, Radek Stepanek.
Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: il 34enne di Karviná è stato fidanzato con Martina Hingis e ora è impegnato nientepopodimenoche con l’aitante connazionale Nicole Vaidasova, che per stare vicina al suo Radek ha lasciato il tennis giocato. Il ceco non è neanche il massimo della simpatia: in carriera è stato protagonista di qualche episodio controverso, ad esempio mancando in vari modi di rispetto ai suoi avversari.
Ma Stepanek è soprattutto, con Llodra e pochi altri (Dolgopolov è giovane ma sembra già essersi adeguato agli standard da qualche anno ormai vigenti), uno degli ultimi “panda” del tennis. Uno di quelli che fanno di necessità (vedi fisico non propriamente da corazziere) virtù (tocchi, variazioni di gioco e discese a rete. Che poi è un gioco non poco dispendioso, con uno giovane e forte come Almagro ancora di più). Uno di quelli che, se lo si sa fare bene, si può ancora venire a rete. Uno di quelli che sono ancora belli da vedere (giocare).
E allora permettetemi di esultare per la vittoria, una volta tanto, del tennis creativo contro quello muscolare dei Ferrer e degli Almagro, che quasi mai sbagliano ma quasi mai tirano fuori il vincente che ti fa rimanere a bocca aperta. Permettetemi di esultare per questo terribile vecchietto che ha tirato via le castagne dal fuoco all’ancora incompiuto (e gli anni passano) Tomas Berdych.
Così parlò “Steps” appena qualche settimana fa: “Sono malato di tennis e voglio rimanere in salute e in forma il più a lungo possibile: posso sostenere sia il singolare che il doppio. Giocherò fin quando mi sentirò bene e riuscirò a mettere in difficoltà i migliori. Vivo per il tennis 24 ore su 24 e sette giorni su sette, altrimenti sarebbe impossibile rimanere ad alti livelli”. Peccato che abbia deciso di ritirarsi (ma lo farà veramente?), giusto che lo abbia fatto, vincendo come ha sempre giocato: controcorrente.

FIFA Futsal World Cup Thailand 2012. La finale sarà Spagna-Brasile

L’Italia ci hanno fatto sognare fino alle semifinali, poi è arrivata la sconfitta con le Furie Rosse

La finale di Thailandia 2012 sarà Spagna-Brasile. Stiamo parlando del “Futsal”, conosciuto anche come calcio a 5, o calcetto. La copertura mediatica del gioco sotto l’egida di madre FIFA dal 1988 è ben poca cosa, ed è un peccato perchè sembra un altro sport rispetto a quello giocato da noi profani durante la settimana: ritmo vertiginoso, giocatori sempre in movimento, schemi mutuati dalla pallacanestro e numeri da circo.
La nostra Nazionale si è confermata nell’Olimpo della disciplina, ben comportandosi anche in questa edizione asiatica: cinque vittorie nelle prime cinque partite (esaltante l’ultima, maturata nei quarti di finale dopo una storica rimonta sul Portogallo del “fenomeno” Ricardinho) e la sconfitta di questa mattina contro i vice-campioni iridati della Spagna, più netta rispetto a quella contestatissima dell’edizione brasiliana di quattro anni fa. Sliding door, la clamorosa occasione che non abbiamo saputo sfruttare sul 2-1; è valsa la regola del fratello maggiore calcio, “gol sbagliato gol subito”, e addio sogni di gloria. Se un tempo le Furie Rosse pregavano di non incontrarci, negli ultimi anni si è abbattuto su di noi uno spietato contrappasso: due volte sconfitti dai “campioni di tutto” agli Europei di calcio (2008 e 2012, di cui quest’ultima in finale), addirittura tre volte ai Mondiali di Futsal (2004 all’atto conclusivo, 2008 e 2012).
Come detto, gli iberici si troveranno di fronte, nel remake della sfida di Brasile 2008, i maestri verdeoro, che hanno faticato più del previsto per sbarazzarsi della rivelazione Colombia, tutta difesa attenta e contropiede. Ci troveremo di fronte i “Cafeteros”, giustizieri delle ben più quotate Iran e Ucraina, nella finale per il terzo posto, per confermare il comunque prezioso bronzo di quattro anni fa.
Per sapere se i brasiliani, guidati dal miglior giocatore dell’ultima edizione, il fenomeno vero Falcão, decisivo anche a mezzo servizio, bisseranno il trionfo casalingo, appuntamento da non perdere domenica 18 novembre, in diretta su “RaiSport 1” ed “Eurosport”.

Intervista al giornalista della ”Gazzetta dello Sport” Luigi Garlando

Qualche domanda al titolare della seguitissima rubrica della rosea ”Tanto è un gioco”

Non è da tutti i giorni parlare con un giornalista e scrittore come Luigi Garlando, 50enne milanese che, dopo aver iniziato nel mondo dei fumetti, è approdato alla “Gazzetta dello Sport”, dove scrive tuttora, oltre che per il mitico quotidiano, anche per il suo supplemento del sabato “SW-Sportweek”. Scrittore di libri per ragazzi, in cui non tratta solo temi sportivi ma anche d’attualità, nel 2005 ha vinto il Premio Cento per “Mio papà scrive la guerra” e nel 2008 il Premio Bancarella Sport per “Ora sei una stella. Il romanzo dell’Inter”. E’ stato inoltre premiato dal CONI per la sezione inchieste e per il racconto sportivo. Garlando sulla “rosea” ha ereditato la rubrica “Fatemi capire” di Candido Cannavò, trasformandola in “Tanto è un gioco”.
E’ da un pò che ho una curiosità relativa proprio a questo. E’ più impegnativo o stimolante essere considerato l’erede del mitico ex Direttore della “Gazzetta”?
Entrambe le cose. Essere considerato il suo erede è motivo per me di grande soddisfazione. Mi ha assunto lui, è stata per me la figura di riferimento anche dal punto di vista umano. C’è anche la responsabilità del rapporto che viveva quotidianamente con i suoi lettori. Per farti un paragone, è come giocare sulla fascia che fu di Facchetti. La sua lezione è uno scrupolo per fare le cose bene, per seguire i suoi valori. Nelle cose che scrivo e faccio cerco di seguire la sua strada, all’insegna dei valori dell’etica, della pulizia, dell’intransigenza.
Dopo il tandem Di Benedetto-Pallotta, a tuo parere ci sono per il futuro possibilità di vedere altri personaggi stranieri al comando dei principali club di casa nostra?
E’ più probabile che club come l’Inter o il Milan acquisiscano dei soci di minoranza, e i loro presidenti mantengano la gestione sportiva. Nel futuro prossimo, più che ad un’invasione straniera penso ad una condivisione. Penso che non ci saranno nè grandi investimenti da parte di ricconi venuti da fuori, nè che sia possibile la strada dell’azionariato popolare stile Barcellona o Real Madrid, che non appartiene alla nostra tradizione. Vedo ancora radicata la figura del presidente-imprenditore o che comunque fa capo ad una famiglia con risorse economiche. I vari Pozzo, Moratti, Zamparini e Preziosi tanto per intenderci, che spesso allo stesso tempo si propongono come procuratori.
Ad ogni passo falso del suo progetto, i detrattori di Prandelli tornano a farti sentire e a rimpiangere il caro vecchio “gioco all’italiana”. Tu che lo hai sempre difeso, che argomentazioni porti a sostegno del CT della Nazionale?
Essere in possesso di conoscenze specifiche ti dà forza. Il merito di Prandelli è stato questo, oltre ad innestare nei giocatori un’autostima di tipo tecnico: la palla è sempre da giocare, si scende in campo per attaccare anche in trasferta,e ancora la ricerca del gioco e del possesso palla. Per la tradizione italiana è una sorta di miracolo. Durante la settimana, gli allenatori hanno tempo e modo di dare una precisa impronta di gioco ai loro club, in Nazionale è praticamente impossibile, invece va dato atto a Prandelli di essere riuscito in una vera e propria rivoluzione nell’arco di un solo anno. Il simbolo di questo cambiamento è la cancellazione dei “Gattuso”; è un’Italia che gioca contro la sua tradizione. Grazie a questi primi due anni di ciclo, altri si stanno convincendo che “si può fare”: Montella per esempio. L’esempio positivo del CT sta contagiando gli allenatori di club, che hanno capito che se si vuole far strada, soprattutto in Europa, non si può più fare catenaccio.
Domanda da un milione di dollari: funzionerà il fair play finanziario fortemente voluto dal presidente dell’UEFA Michel Platini?
E’ un provvedimento necessario per limitare una spesa altrimenti limite. Il problema è se si troveranno dei modi per camuffare queste spese. Le squadre sono in mano alle banche. Nonostante, come detto, il provvedimento sia a mio parere necessario, il mio pessimismo deriva dal fatto che siamo in presenza di conflitti d’interesse difficili da districare. Gli organismi deputati al controllo saranno in grado realmente di esercitarlo? Avranno il coraggio di imporre punizioni anche impopolari? Sono curioso se avranno il coraggio di colpire anche le grandi società.
Lo siamo tutti, caro Luigi.

Calcio. Europa League. Turno importante per le nostre quattro squadre

L’Inter è l’unica rappresentante italiana in Europa ad essere già quasi qualificata

E’ un turno importante, quasi fondamentale, quello odierno per le quattro italiane impegnate in Europa League. Nel GRUPPO A l’Udinese ha sprecato l’entusiasmante credito acquisito ad Anfield con l’ultima, sciagurata, prestazione in terra svizzera. Vitale portare a casa i tre punti stasera per poi se, come credo, la missione verrà compiuta, strappare almeno un pareggio a casa Eto’o; in questo modo, i discorsi di qualificazione rimarrebbero apertissimi in vista dello scontro casalingo finale con il Liverpool.
Nel GRUPPO F, Napoli ancora più costretto a vincere con i terribili ucraini del Dnipro per non trovarsi con un piede e mezzo fuori a due turni dalla conclusione. Una formazione vicina a quella titolare non dovrebbe avere problemi a fare bottino pieno a Stoccolma la giornata successiva. Il 6 dicembre sarebbe quindi sfida all’arma bianca contro Van Bommel and company.
Per quanto riguarda il GRUPPO H, invece, l’Inter è l’unica italiana in entrambe le competizioni europee già in una botte di ferro. Stramaccioni potrà abbondare nel turnover nell’ambito di due trasferte comunque non facili per questioni ambientali (Belgrado) e logistiche (Kazan).
Chiudiamo con l’ultimo che vede coinvolta una nostra rappresentante, il GRUPPO J, con la Lazio che nel recupero di Atene ha buttato via due punti importantissimi. Vincere stasera: a quel punto potrebbero essere sufficienti tre punti tra Londra e Roma.