La strana storia di Max lo Svizzero

Che per me è stato Philippe de Montfort

Era il primo pomeriggio del 3 luglio 1998, sono sicuro. Io e Annalisa, che oltre ad essere colleghi eravamo anche amici, stavamo tornando dall’annuale "Marcia al mare" un giorno prima con la mia Golf a GPL. Quell’anno avevamo potuto fare solo il primo pezzo dell’escursione che dall’Appennino piacentino ogni anno ci portava al mare in Liguria insieme al folto gruppo di adulti, bambini e ragazzi dell’associazione OTP-Gea. Al passo dello Zovallo, sopra Ferriere, ce ne eravamo dovuti tornare a Piacenza per finire lavori urgenti e raggiungemmo in auto gli altri solo dopo una settimana, direttamente al mare a Cavi di Lavagna dove nel frattempo la comitiva era giunta a piedi.

Tornavamo con calma usando la Statale Val d’Aveto, la famosissima vecchia strada spacca-stomaco da Chiavari a Piacenza attraverso le montagne, quando poco dopo Rezzoaglio trovammo un autostoppista poco convinto e improbabile. Per questo più rassicurante. Alto, abbronzato, magro, capelli bianchi di media lunghezza, di circa sessant’anni. Pantaloni sportivi ma eleganti, camicia bianca e uno zainetto.

Ci trovavamo in mezzo a un vero e proprio "deserto boschivo". Un’area tra la Liguria e l’Emilia completamente disabitata e non incrociavamo altri veicoli da diverso tempo.
Una persona così, in quel posto, aveva veramente bisogno d’aiuto. A un vago cenno ci siamo fermati e ci ha semplicemente detto che doveva andare a Cremona, per raggiungere il Consolato Svizzero dato che gli avevano rubato la macchina all’autogrill vicino a Genova e gli avevano indicato quella come la strada più breve.

Si presentò come Philippe in un’italiano sicuro, con forte accento francese. Gli andava bene anche uno strappo fino a Piacenza e anche il fatto che ci saremmo fermati a Marsaglia per un bagno nel fiume Trebbia e per far sgranchire il mio pastore tedesco, la mitica Trudy, fedele compagna degli anni da single.

Iniziò a raccontarci della Mercedes che gli avevano rubato con tutti i documenti e i soldi mentre era in bagno, intercettando probabilmente il codice della chiusura automatica con uno scanner, mentre stava raggiungendo sua figlia a Montecarlo. Al Commissariato di Genova erano stati gentilissimi ma non avevano potuto aiutarlo più di tanto, dato che essendo un cittadino svizzero era per loro comunque un extracomunitario. Dal Consolato gli avevano semplicemente detto di raggiungerli senza fornirgli nessun’altra assistenza. Quegli "stronzi degli svizzeri". Come non provare soddisfazione nel sentirlo pronunciare da un elvetico doc?
Non aveva fretta perché tanto il Consolato di Cremona sarebbe stato aperto solo l’indomani mattina. Non ci ha chiesto nulla, ne’ soldi, ne’ ospitalità. Gli bastava un passaggio che lo portasse verso la sua meta e il fatto di aver trovato finalmente qualcuno che gli stava dando una mano gli era di grande sollievo.

Semplice, solare, curioso, ironico e intrigante. Ci fece un sacco di domande mostrando da subito una grande cultura di base su tutto quanto, oltre che un’ottima conoscenza dell’Italia e della cultura italiana. Ovvio, dato che ci aveva raccontato di essere stato sposato per una vita con una marchigiana, morta da poco tempo per un tumore al cervello. Come ci raccontò più tardi era stato un grande amore, per questa donna che i suoi compaesani non avevano mai accettato fino in fondo, da cui aveva avuto una figlia. La malattia e gli ultimi giorni erano stati strazianti e ce li descrisse con dettagli ricchissimi, compreso l’ultimo giorno che volle passare senza di lui per pensare, per poi lasciargli le ultime raccomandazioni sul fatto di non lasciarsi andare, di continuare a vivere, di quanto la loro vita fosse stata piena e soddisfacente. Annalisa era in lacrime e mentre ce lo raccontava, non so bene come, eravamo a cena insieme sotto il pergolato della Trattoria Santo Stefano nel centro di Piacenza, a godere di un’ottima e abbondante selezione di eno-gastronomia piacentina. L’idea che dormisse in stazione a Piacenza per prendere un treno per Cremona la mattina seguente non l’avevamo neppure presa in considerazione.

Ad ogni nostra offerta di ospitalità non richiesta ci elogiava e ci rassicurava che sarebbe stato ampiamente riconoscente una volta rientrato in Svizzera, a Ginevra, dove risiedeva ed era titolare di una fabbrica di cannoni per la neve artificiale, ma molto ecologici e costruiti con un sistema innovativo che ci illustrò in modo chiaro e completo. La sua segretaria ci avrebbe mandato cioccolatini e altri omaggi di ringraziamento. E ovviamente avremmo dovuto essere suoi ospiti al suo chalet a Saint Moritz.

Dormì quindi a casa mia, dove continuammo a chiacchierare di tutto, conosceva la musica italiana e ci ascoltammo quel capolavoro del primo "Fleurs" di Battiato (autore che conosceva davvero bene) e forse anche qualche pezzo di Paolo Conte sorseggiando un ultimo Gutturnio prima di dormire.

La mattina seguente, dopo avergli "prestato" una camicia perché potesse presentarsi pulito, lo accompagnai alla stazione e con molto imbarazzo mi chiese se potevo lasciargli qualche soldo per il treno ed eventuali altre spese da sostenere nella giornata, non sicuro dell’aiuto che avrebbe ricevuto dal Consolato. Gli lasciai 100.000 lire che, mi rassicurò più volte, mi sarebbero state rispedite dalla sua segretaria immediatamente non appena lei fosse rientrata dalle ferie ("e certo se ci fosse stata lei in ufficio, invece che in Normandia con la sua famiglia, avrebbe provveduto subito a me e risolto tutto ma a volte quando le cose devono andare storte e mia figlia con il bambino piccolo non me la sono sentita di farla muovere da Montecarlo…").
Entrai con lui in stazione perché sapevo che d’estate molti treni pendolari erano soppressi e il piccolo trenino per Cremona veniva cancellato ancora più facilmente. Infatti non c’era. Poco male gli dissi, dovevo passare da un cliente vicino a Cremona nei giorni seguenti. L’avrei fatto la mattina stessa così avrei potuto accompagnarlo ancora qualche chilometro.
Staccarmi da una persona così gradevole mi spiaceva, lo ammetto.
Durante il viaggio mi lasciò tutti i suoi contatti della casa di Ginevra, dello chalet, dell’ufficio. Il biglietto scritto di suo pugno ancora lo conservavo nel cassetto dopo 12 anni.
Perché ci ho messo davvero tanto ad ammettere con me stesso che qualcosa non andava, dato che soldi e camicia non erano più tornati. E neanche i cioccolatini erano mai arrivati. Non telefonai subito nei giorni seguenti, perché non mi sembrava carino, con una persona così signorile ed elegante. C’era stato sicuramente qualche disguido.
Provai un paio di mesi dopo ma i numeri erano irraggiungibili e anni fa internet non era così efficiente e trasparente. Anche ultimamente cercai, dopo un trasloco in cui mi tornò in mano il biglietto, il suo nome negli elenchi svizzeri e su Google. Trovai l’indirizzo con Google Maps, guardando anche la foto aerea di una casa che sembrava in una zona signorile, vicino al lago. Cercai le fabbriche di cannoni per la neve artificiale attorno a Ginevra. Ma dopo così tanti anni, mi diedi la spiegazione, come trovare un uomo di oltre settant’anni che forse aveva cambiato residenza e forse raggiunto la figlia a Montecarlo?
Un dubbio pesante di essere stato raggirato l’avevo da tempo, ma l’orgoglio mi forniva spiegazioni logiche. Bastava aver perso il mio biglietto da visita. Anche se il modo di rintracciarmi…. ma forse chissà… eppure le sue narrazioni erano tutte così coerenti e così calzanti alla persona… In fondo mi spiaceva soprattutto averlo perso di vista, prima ancora che per i soldi o per una camicia.

Ieri la folgorazione. Passando in automatico gli RSS dei quotidiani italiani, che mi segnalano in tempo reale le nuove notizie non lette, intravedo sul Corriere della Sera il titolo: "La Francia alla caccia di «Max lo svizzero». L’autostoppista truffatore che inganna gli automobilisti transalpini con le sue storie strappalacrime."
Lunga apnea. Ci ho subito pensato. Ho aperto QUESTO LINK. 10 righe, la foto e la mia apnea si è trasformata in una risata sguaiata.
Strano provare una sensazione positiva vero?
Eppure immediatamente e decisamente liberatoria. In fondo lo sapevo. Ma chiudere un anello rimasto aperto con emozioni così forti regala davvero una sensazione di sollievo.
Scoprire immediatamente dopo di essere uno delle migliaia che ci sono cascati mi ha dato ulteriore sollievo.

Descrizione perfetta. E ancora migliore l’articolo "Max le Suisse, Arsène Lupin des bords de route" su France Soir. Per non parlare dell’articolo "De la Loire à la Gironde, qui stoppera Max l’auto-stoppeur?" su LeProgrès.fr" e tanti altri articoli su altre testate francesi.

Tutte trovate partendo dal BLOG APPOSITO: STOPPER MAX LE SUISSE, aperto da uno dei tanti truffati. Dove oltre ad ascoltare servizi sull’argomento di radio nazionali francesi si possono trovare i commenti di centinaia di persone che lo hanno incontrato. Pochi rancorosi. Molti tra lo stupito, il sollevato, l’ammirato. Si leggono così i tantissimi nomi e nazionalità utilizzati da "Max le Suisse", per quello che in realtà si è scoperto essere il settantenne Matteo Schaub, originario della Svizzera che in passato è stato arrestato più volte per truffa e per altri reati finanziari nel Paese elvetico. E che recita da anni incredibili varianti dello stesso copione. Un "truffato" è riuscito anche a scattargli la foto che appare in cima a questo post.
Quando ho lasciato la mia testimonianza nel blog e nei commenti dei vari quotidiani francesi ero l’unico a raccontare della sua presenza in Italia ben 12 anni fa. Ma già stamattina, insieme a segnalazioni fresche fresche di chi lo ha visto in Francia ieri e anche oggi, si è aggiunta quella di un altro italiano che gli ha dato un passaggio tra Cremona e Mantova "più di 10 anni fa". Mi viene da pensare che sia quello che lo ha raccolto dopo che io lo avevo accompagnato a Cremona per andare all’inesistente Consolato Svizzero.
Leggere a uno a uno i commenti è a suo modo affascinante. I personaggi interpretati, le situazioni, la donna che a un certo punto lo accompagna per diverso tempo, le mail a cui addirittura ha risposto, le finte telefonate con la famosa segretaria, il figlio in Italia, la figlia, l’ingegnere, il geologo, le diverse nazionalità assunte.
Una storia incredibile. Che acquista un fascino diverso rispetto al ricordo che avevo. Ma quasi acquista punti e valore.

Io sono uno di quelli che non prova rancore e anzi mi associo a quelli che scrivono "Chapeau".
L’unica delusione, per me, è che Philippe de Montfort non esista davvero. Mi sarebbe davvero piaciuto avere come amico e poter continuare a frequentare quel Philippe.
Il resto è una storia che nella mia testa nasce nuova dalla scoperta di ieri e che credo riserverà ancora tante sorprese!

ARTICOLO PUBBLICATO ANCHE SU BLOG.DAVIDEGALLI.IT

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