Intervista al giornalista bolognese Roberto Beccantini

Cronaca dell’incontro milanese con una delle più grandi firme sportive italiane

Per quei pochi che non lo conoscono, chi è Roberto Beccantini? Giornalista sportivo, professionista dal 1972, ha iniziato la sua carriera a “Tuttosport” per proseguirla tra “La Gazzetta dello Sport”, il “Guerin Sportivo” (a cui collabora dal 1999) e “La Stampa”, per cui ha lavorato sino al 2010, ricoprendo diversi incarichi tra cui capo della redazione sportiva. In pensione dal 31 agosto di due anni fa, attualmente Beccantini collabora con “Il Fatto Quotidiano”, il “Guerin Sportivo” e “La Gazzetta dello Sport”, oltre a tenere un blog su “Eurosport Italia”. Volto televisivo di varie trasmissioni RAI e MEDIASET, Beck si è aggiudicato nel 2010 il Premio CONI “Una Penna per lo Sport-Giorgio Tosatti”, riconoscimento all’opera svolta dal giornalista nel corso della sua quarantennale carriera.
Signor Beccantini, mi permetta di dirle che la leggo da tanti anni e quindi per me incontrarla qui a Milano, oltre che un piacere, è anche un onore. Veniamo a noi: lei è stato tra i primi critici del sistema calcio in occasione di “Calciopoli” e autore di “Juve ti amo lo stesso” (Mondadori, 2007) e “Quei derby che una Signora non dimentica” (Priuli & Verlucca, 2007). L’attualità parla di una Juventus vincente. A suo parere serve veramente il tanto citato “top player”? E, nel caso, chi?
Potrei essere smentito ma Llorente non mi sembra poter spostare gli equilibri. Dzeko non so. Dico Cavani: con l’uruguaiano la qualità migliorerebbe ma l’attacco non perderebbe in mobilità, essendo una prima punta che ama svariare. Mi sembra un Trezeguet mobile, un Trezeguet “Distefanizzato”. I vari Suarez, Van Persie ecc. sono fuoriclasse, non campioni.
Prima la Lazio, poi il Napoli. A seguire l’Inter, ora va di moda la Fiorentina: chi può essere la vera anti-Juventus?
Nella mia consueta griglia di inizio campionato avevo posizionato il Napoli davanti all’Inter. La Fiorentina può essere la squadra rivelazione.
Lei è stato per tanti anni il giurato italiano del “Pallone d’oro”. La sua personale classifica di quest’anno? E le sembra giusto che negli ultimi anni sia stato premiato il più forte in assoluto e non il migliore dell’anno solare?
Voterei C. Ronaldo-Messi-Iniesta-Pirlo-Xavi. La fusione tra “Pallone d’oro” e “Fifa World Player” ha accentuato il fatto che tenda a vincere il più forte calciatore del pianeta (considerato quasi unanimemente Messi). I giurati sono diventati talmente tanti che i paletti non sono più fissi come quando il Premio era organizzato da “France Football”. Con Messi comunque si va sul sicuro.
Com’è cambiato il rapporto giornalisti-calciatori?
All’epoca di Sivori, ma anche di Platini, i calciatori sceglievano da quale giornalista farsi intervistare: il contatto era diretto; oggi invece si deve passare attraverso una serie di filtri, e spesso si tratta di interviste “sdraiate”. Lasciami dire che la logica commerciale è ormai imperante: vedi certi protagonisti della trasmissione di SKY “I Signori del Calcio”, che più che “Signori” potrebbero essere definiti “Gladiatori”.
Lei ha seguito nove Olimpiadi estive e quella invernale di Torino 2006; nove Mondiali e otto Europei di calcio; tutte le finali di Champions League dal 1992 al 2010. Quale l’Olimpiade che ricorda con maggiore piacere? E lo stadio di calcio da cui è rimasto maggiormente impressionato?
Tra le Olimpiadi, Barcellona 1992. Lì c’era il “Dream Team”, quello originale (Beccantini è anche un grande appassionato di basket, ndr). Essendo responsabile della redazione sportiva de “La Stampa”, mi sono perso un edizione a cui mi sarebbe piaciuto assistere dal vivo, Sidney 2000. Per quanto riguarda gli stadi, il “Santiago Bernabeu” di Madrid su tutti.
Dopo i due libri sulla Juve, ne ha in programma altri?
Per ora no: nonostante sia ufficialmente in pensione, scrivo ancora quotidianamente. Per la Juve mi erano arrivate delle proposte legate alla contingenza del momento (“Calciopoli”, ndr), ma per scrivere dei libri serve pazienza. Io sono un cento metrista, chi scrive libri è un maratoneta.
E dalla sua ultima affermazione è saltata fuori anche la sua passione per l’atletica… Un’ultima domanda: oggi consiglierebbe ad un ragazzo di fare il giornalista? E quali sono stati i suoi modelli?
Gianni Mura, nella sua analisi sul numero di dicembre del “Guerin Sportivo”, è stato più pessimista di quello che penso. Nonostante tutto lo consiglio ancora. Se io sognavo ad occhi chiusi, un giovane oggi lo deve fare ad occhi aperti perché i tempi sono indubbiamente cambiati, e sono difficili, in modo particolare per i giovani. A neanche vent’anni, il 20 agosto 1970, mi trasferii da Bologna a Torino per lavorare a “Tuttosport”; avevo già un impiego fisso, nonostante dovetti abbandonare l’Università dopo aver affrontato otto esami di “Scienze politiche”, e oggi un pò lo rimpiango, ma andavo a fare quello che mi sarebbe piaciuto fare nella mia vita. Oggi anche se si è non laureati, ma bi-laureati, si è costretti a guardarsi intorno; mi sento quindi di dire che lo consiglierei con maggior decisione al figlio di un papà ricco. Molti di questi giovani che magari hanno una doppia laurea non riescono a fare il lavoro che sarebbe loro piaciuto fare. Certo, dipende anche come ci si comporta una volta entrati nel circuito. Il fascino del giornalismo rimane enorme, però… Il paradosso è che la crisi c’è adesso che ci sono molteplici possibilità di accesso alla scrittura. Ai tempi dei miei esordi, l’unico supporto era quello cartaceo. Venendo alla seconda parte della domanda, considero importantissimi per la mia formazione Gianfranco Civolani e Gianni Brera. Stimo molto inoltre Emanuela Audisio, Maurizio Crosetti, Gianni Mura e Giuseppe Pistilli, oltre al mio direttore Matteo Marani al “Guerin Sportivo”: ho molto apprezzato il suo “Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo”.

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