Intervista al giornalista della ”Gazzetta dello Sport” Luigi Garlando

Qualche domanda al titolare della seguitissima rubrica della rosea ”Tanto è un gioco”

Non è da tutti i giorni parlare con un giornalista e scrittore come Luigi Garlando, 50enne milanese che, dopo aver iniziato nel mondo dei fumetti, è approdato alla “Gazzetta dello Sport”, dove scrive tuttora, oltre che per il mitico quotidiano, anche per il suo supplemento del sabato “SW-Sportweek”. Scrittore di libri per ragazzi, in cui non tratta solo temi sportivi ma anche d’attualità, nel 2005 ha vinto il Premio Cento per “Mio papà scrive la guerra” e nel 2008 il Premio Bancarella Sport per “Ora sei una stella. Il romanzo dell’Inter”. E’ stato inoltre premiato dal CONI per la sezione inchieste e per il racconto sportivo. Garlando sulla “rosea” ha ereditato la rubrica “Fatemi capire” di Candido Cannavò, trasformandola in “Tanto è un gioco”.
E’ da un pò che ho una curiosità relativa proprio a questo. E’ più impegnativo o stimolante essere considerato l’erede del mitico ex Direttore della “Gazzetta”?
Entrambe le cose. Essere considerato il suo erede è motivo per me di grande soddisfazione. Mi ha assunto lui, è stata per me la figura di riferimento anche dal punto di vista umano. C’è anche la responsabilità del rapporto che viveva quotidianamente con i suoi lettori. Per farti un paragone, è come giocare sulla fascia che fu di Facchetti. La sua lezione è uno scrupolo per fare le cose bene, per seguire i suoi valori. Nelle cose che scrivo e faccio cerco di seguire la sua strada, all’insegna dei valori dell’etica, della pulizia, dell’intransigenza.
Dopo il tandem Di Benedetto-Pallotta, a tuo parere ci sono per il futuro possibilità di vedere altri personaggi stranieri al comando dei principali club di casa nostra?
E’ più probabile che club come l’Inter o il Milan acquisiscano dei soci di minoranza, e i loro presidenti mantengano la gestione sportiva. Nel futuro prossimo, più che ad un’invasione straniera penso ad una condivisione. Penso che non ci saranno nè grandi investimenti da parte di ricconi venuti da fuori, nè che sia possibile la strada dell’azionariato popolare stile Barcellona o Real Madrid, che non appartiene alla nostra tradizione. Vedo ancora radicata la figura del presidente-imprenditore o che comunque fa capo ad una famiglia con risorse economiche. I vari Pozzo, Moratti, Zamparini e Preziosi tanto per intenderci, che spesso allo stesso tempo si propongono come procuratori.
Ad ogni passo falso del suo progetto, i detrattori di Prandelli tornano a farti sentire e a rimpiangere il caro vecchio “gioco all’italiana”. Tu che lo hai sempre difeso, che argomentazioni porti a sostegno del CT della Nazionale?
Essere in possesso di conoscenze specifiche ti dà forza. Il merito di Prandelli è stato questo, oltre ad innestare nei giocatori un’autostima di tipo tecnico: la palla è sempre da giocare, si scende in campo per attaccare anche in trasferta,e ancora la ricerca del gioco e del possesso palla. Per la tradizione italiana è una sorta di miracolo. Durante la settimana, gli allenatori hanno tempo e modo di dare una precisa impronta di gioco ai loro club, in Nazionale è praticamente impossibile, invece va dato atto a Prandelli di essere riuscito in una vera e propria rivoluzione nell’arco di un solo anno. Il simbolo di questo cambiamento è la cancellazione dei “Gattuso”; è un’Italia che gioca contro la sua tradizione. Grazie a questi primi due anni di ciclo, altri si stanno convincendo che “si può fare”: Montella per esempio. L’esempio positivo del CT sta contagiando gli allenatori di club, che hanno capito che se si vuole far strada, soprattutto in Europa, non si può più fare catenaccio.
Domanda da un milione di dollari: funzionerà il fair play finanziario fortemente voluto dal presidente dell’UEFA Michel Platini?
E’ un provvedimento necessario per limitare una spesa altrimenti limite. Il problema è se si troveranno dei modi per camuffare queste spese. Le squadre sono in mano alle banche. Nonostante, come detto, il provvedimento sia a mio parere necessario, il mio pessimismo deriva dal fatto che siamo in presenza di conflitti d’interesse difficili da districare. Gli organismi deputati al controllo saranno in grado realmente di esercitarlo? Avranno il coraggio di imporre punizioni anche impopolari? Sono curioso se avranno il coraggio di colpire anche le grandi società.
Lo siamo tutti, caro Luigi.

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